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Lunedì 3 marzo

Mancano 20 giorni alla mia prima ultramaratona.

Le ultime uscite sono state positive. Ma ancora non ho la certezza di poter completare i 46 km tra le colline del Chianti.

Se dal punto di vista fisico l’allenamento segue una pianificazione precisa, con ritmi costanti e carichi di lavoro crescenti, è la mente a rappresentare la vera sfida. L’energia di cui ho bisogno devo trovarla dentro di me.

Spesso, nelle ultime corse, ho attraversato momenti di crisi, di difficoltà, sentendomi lontano dalla mia forma migliore. Ma il vero ostacolo non è stato quasi mai fisico. È stato mentale. Come se l’obiettivo, invece di motivarmi, mi soffocasse. Come se mi facesse sentire inadeguato, rivelandomi le mie fragilità.

La costanza negli allenamenti abitua i muscoli allo sforzo, al gesto ripetuto: un passo dopo l’altro, quasi meccanicamente. Ma la mente segue regole diverse. Anche lei va allenata.

Il limite più grande è proprio questo: la fragilità mentale, la facilità con cui un pensiero può insinuarsi all’improvviso, destabilizzando tutto.

Quando corro, cerco di non pensare al traguardo. Ma il pericolo è nascosto anche nei pensieri più leggeri: cosa mi aspetta più avanti? Come affronterò quel tratto?

La vera sfida è restare nel momento, vivere l’esperienza senza aspettative o confronti. Senza fare calcoli.

Ad esempio, quando durante gli allenamenti ripeto più volte lo stesso circuito, se la mente inizia a contare i giri che mancano, tutto diventa insopportabile. Dopo un solo giro, i muscoli sembrano già esplodere, la fatica diventa opprimente. Ma è una fatica della mente.

Eppure, quando quei pensieri svaniscono, senza forzature, le gambe riprendono ad andare. Senza quasi accorgermene, mi ritrovo al quarto, al quinto giro. L’obiettivo dell’allenamento è raggiunto. Anzi, ci sarebbe margine per fare di più. Ma è qui che interviene la disciplina: sapere quando fermarsi, chiudere l’allenamento e lasciare spazio al recupero.

Il ricordo di una sfida passata

Nell’ultima gara del 2024, la più lunga della stagione, quella con più aspettative, un dolore al ginocchio mi ha fermato dopo appena 14 km. Solo per un attimo.

Poi, dolorante, sono andato avanti. Non da solo. Il supporto emotivo di un amico mi ha permesso di tagliare il traguardo, dopo altri migliaia di metri di dislivello e decine di chilometri.

Il dolore era forte, continuo, quasi da far male allo stomaco. Ma, nonostante tutto, camminando, sono arrivato in fondo.

Ricordo bene le parole di Carlo, che mi è stato accanto per tutta la gara:
“Non è un momento di sconfitta o di tristezza. È un’opportunità. Nonostante tutto, stai concludendo la gara. Non hai mollato. Stai tenendo duro.”

E aveva ragione. Se ce l’ho fatta allora, posso farcela anche nelle sfide future.

Il cambiamento

Quando ho tagliato il traguardo della gara del Piglione, a San Rocco in Turrite, ero distrutto fisicamente, ma emotivamente più lucido. Quella medaglia di finisher aveva un significato diverso.

I due mesi di stop successivi hanno segnato un nuovo capitolo: una pausa e una ripartenza. Un cambio totale di approccio alla corsa, alla preparazione, alla gestione delle gare.

Sono passato da una corsa impulsiva, emotiva, goliardica, a una più consapevole, più ragionata.

Ho capito che il corpo ha i suoi tempi. Bisogna ascoltarlo, saper dire no, sapersi fermare.

Meglio rallentare un po’ piuttosto che dover smettere del tutto.

La paura

Se dovessi dirlo chiaramente, sì, ho paura.

Temo che, a un certo punto, le gambe non girino più. Che il dolore sia così forte da impedirmi di respirare, di ossigenare il cervello, di pensare lucidamente.

Forse l’incognita più pesante è proprio questa: non sapere cosa succederà.

Nelle ultime uscite mi è capitato di sentire le gambe bloccarsi, soprattutto dopo tratti in discesa. Dopo una salita, fermarsi a camminare può inchiodare i muscoli. Il dolore dello sforzo si fa sentire.

Ma è lì che si impara a gestire la situazione: fermarsi, rallentare, abbassare i battiti, ossigenare il cervello, idratarsi. E dopo qualche centinaio di metri, le gambe riprendono mobilità. Il passo torna fluido.

Quante volte succederà? Quante volte potrò sopportarlo?
L’adrenalina della gara amplificherà questa fatica o la renderà più leggera?

Tante domande, tante incognite.

A cui troverò risposta solo quando avrò tagliato il traguardo.

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