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Il segreto è nel ritmo

Camminare è un atto semplice, quasi primordiale. È l’arte di scoprire nuovi luoghi, di lasciarsi sorprendere da un panorama che si apre all’improvviso dopo una curva, di respirare la bellezza del mondo che cambia sotto i nostri piedi. È un viaggio in cui i paesaggi si susseguono, accompagnandoci passo dopo passo.

I trekking in alta montagna incarnano perfettamente questa esperienza: prati d’alta quota si alternano a pietraie, tratti rocciosi si trasformano in sentieri panoramici da cui ammirare l’intera vallata. Gli animali selvatici, il vento che scompiglia i capelli, l’aria sottile e pura. Tutto contribuisce a rendere il viaggio affascinante e coinvolgente.

Nel trail running, il concetto è simile, ma con una sfida in più: la velocità. Su terreni tecnici, l’attenzione si concentra sui piedi, sui passi che devono essere sicuri e precisi. Ma quando il percorso si fa più dolce e scorrevole, lo sguardo può finalmente alzarsi per perdersi nel paesaggio: colline che si rincorrono, piccoli borghi che raccontano storie antiche, scorci che parlano di un tempo lontano, quando questi sentieri erano percorsi ogni giorno da chi scendeva a valle per commerciare, cacciare o semplicemente vivere.

Oggi, chi corre in montagna spesso lo fa per un bisogno diverso: quello di staccare dalla frenesia quotidiana, di immergersi nella natura e ritrovare un ritmo più autentico, perlomeno io. Eppure, affrontare un’ultramaratona non è solo una questione di resistenza fisica. È una sfida mentale, un viaggio interiore che richiede pazienza e disciplina.

Allo start, l’adrenalina è alle stelle. Intorno a te, decine, centinaia, talvolta migliaia di atleti fremono, pronti a partire. Alcuni scattano subito, allungano il passo, si allontanano velocemente. La tentazione di seguirli è forte. Ma qui sta l’errore più grande: farsi trascinare dal ritmo degli altri, ignorando il proprio corpo e la propria strategia.

Ho imparato a mie spese quanto sia facile cadere in questa trappola. Nelle mie prime gare, arrivavo vicino al traguardo completamente svuotato, superato negli ultimi chilometri da chi aveva saputo dosare meglio le energie.

Poi, con l’esperienza, qualcosa è cambiato. In gare come la Brunello Crossing o la Penna Trail Run, sono stato io a superare, nel finale, quei corridori che all’inizio mi sembravano inarrivabili. È stato lì che ho capito una verità semplice, ma fondamentale: non è la velocità a fare la differenza, ma la costanza.

Il segreto è nel ritmo. Gestire il proprio passo significa accettare di partire piano, mentre tutto intorno a te sembra accelerare. Significa resistere alla tentazione di dimostrare qualcosa agli altri e concentrarsi sul proprio viaggio.

Nei primi dieci chilometri, tutto sarà caotico, frenetico, difficile da gestire. Poi, lentamente, il gruppo si diraderà, i passi si distenderanno e il respiro troverà il suo ritmo. Sarà allora che potrò davvero ascoltare il mio corpo e lasciarmi andare.

L’obiettivo non è arrivare primi, né superare gli altri. È giungere agli ultimi chilometri con ancora energia, con la consapevolezza di aver gestito bene la gara, di aver rispettato i propri limiti. E magari, nel finale, avere la forza di superare chi ha sprecato troppo all’inizio.

C’è una sottile soddisfazione nel tagliare il traguardo sapendo di averne ancora. È una vittoria interiore, che va oltre la classifica. È la certezza di essere stati padroni del proprio viaggio, di aver trovato il ritmo giusto tra fatica e contemplazione, tra corpo e mente.

Ed è proprio questo che cercherò nella mia prossima ultra: non la velocità, ma l’armonia con il sentiero, con il respiro e con il tempo che scorre.

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