Le critiche che facciamo a noi stessi, molto spesso sono peggiori di quelle che ci rivolgono gli altri e questo critico interiore può paralizzarci oppure può aiutarci a migliorare, a seconda i come reagiamo.
Quella vocina che ci ripete “Non sei all’altezza”, “Sei fuori luogo”, “Cosa pensi di fare? Non finirai mai quella gara” o “Ti stai allenando malissimo”, “Non stai facendo abbastanza” e che suonerà familiare a molti, in realtà ha una sua utilità sociale ed evolutiva: ci garantisce l’appartenenza e ci protegge dalle cose che potrebbero essere un pericolo per noi.
È una parte di noi che si preoccupa degli altri e che ci protegge dal poter essere abbandonati.
Spesso è il surrogato di critiche interiorizzate negli anni (i genitori, la scuola) e si comporta come se fosse convinta che se il mondo si accorgesse di come siamo veramente, allora ci abbandonerebbe. Per questo limita la nostra azione naturale e ci redarguisce ogni volta che nota qualcosa in noi che potrebbe non andare bene.
Questo critico interiore interviene spesso a gamba tesa e ha la tendenza di paragonarci agli altri facendoci sempre sentire peggiori.
Anche quando raggiungiamo risultati importanti, che sia nello sport o nella vita, se la si ascolta, quella vocina ci ripeterà che “era solo un giorno fortunato” o che “sarà impossibile mantenere questo livello di aspettative perché oggi erano gli avversari a non essere al top”.
Come dicevo sopra, queste critiche che ci rivolgiamo servono per garantirci l’appartenenza e la sicurezza, ma il risultato è che ascoltandola, finiamo per non agire o per riempirci di insicurezza e ansie.
Per non farci massacrare da questo critico interiore e fare in modo che le critiche che ci rivolgiamo siano costruttive è indispensabile, prima di tutto, essere consapevoli di questo dialogo e renderci conto che ha un peso emotivo enorme.
Una volta che ci rendiamo conto di questo, dobbiamo diventare consapevoli che questo critico è solo una parte di noi, che va in allarme quando percepisce un pericolo, come una madre apprensiva.
Questa parte di noi, però, non è la nostra totale identità, quindi quello che dobbiamo fare è rompere il legame tra il critico interiore e la nostra identità.
Faccio un esempio: se la nostra vocina critica inizia a ripeterci che non saremo in grado di concludere quella gara o che non raggiungeremo un risultato soddisfacente, quello che dobbiamo ripeterci è: “È il mio critico interiore che lo pensa, perchè mi vuole proteggere da un pericolo, ma io so quello che sto facendo e so che posso farlo” Questo ci serve a stabilire una distanza da queste critiche, in modo da esserne troppo condizionati.
Un’altro modo per prenderne le distanze è quello di usare l’autoironia con pensieri del tipo:
“Ho capito che non hai voglia che esca a fare le ripetute, ma oggi toccano e quindi fai la borsa e andiamo” o “Oggi il mio critico interiore è più in forma di me, vediamo se riesco a batterlo”.
Quando invece non si tratta di autocritica, ma di veri e propri pensieri negativi che ci oscurano la mente e ci indeboliscono, quello che io suggerisco sempre ai miei atleti è di non provare a lottare o scappare da questi pensieri, perchè tanto tornerebbero più forti di prima, ma individuare strategie che ti consentano di abbassare il volume, sovrastandolo con quello di pensieri più piacevoli.
Immaginatevi di star passando un infortunio e di essere ossessionati da tutta una serie di proiezioni negative come non poter tornare a gareggiare o non poter recuperare del tutto.
Ecco, in questi casi è indispensabile abbassare il volume di questi pensieri ossessivi e opprimenti, come se fosse il volume di una radio che sta passando un pezzo che non vi piace (il raggaeton per esempio 😂).
Ora, i pensieri non hanno la manopola del volume e quindi non resta che sovrastarli con qualcosa che sia più piacevole per noi, per esempio concentrandosi su attività che ci gratifichino.
Per dare un’idea chiara della potenza dei pensieri negativi, io faccio sempre questo esempio:
anni fa ho passato un periodo in Arizona con il mio compagno di allora e mentre stavamo attraversando il Grand Canyon National Park, io ero così ossessionata dalla discussione appena avuta con lui (che non ricordo assolutamente su cosa vertesse, tanto poco era importante), che il Grand Canyon è scomparso. Non l’ho visto, non me lo sono goduto, perché ero totalmente risucchiata nella mia spirale di pensieri ossessivi.
Questo esempio mi serve per sottolineare la portata distruttiva che questo tipo di pensieri possono avere: sono capaci di far scomparire il Grand Canyon.
Capite cosa intendo?
Per abbassare il loro volume, come dicevo sopra, è indispensabile rendersi conto di quanto siano invadenti e una volta presa consapevolezza, se non si possono sovrastare impegnandosi in altro, un’altra tecnica efficace è quella di fermarsi e respirare profondamente.
La tecnica della respirazione profonda, sulla quale istruisco gli atleti, la si può usare in molte
occasioni, ma nel caso dei pensieri negativi serve per abbassare il livello di allerta che scatena il nostro sistema nervoso simpatico, che si attiva in automatico nelle situazioni di stress e che risponde in modo autonomo, fuori dal nostro controllo, attivando il nostro corpo per una reazione detta “di attacco o fuga”, aumentando il battito cardiaco e liberando ormoni come il cortisolo.
Attraverso la respirazione profonda, è possibile interrompere questa attivazione automatica, inviando al sistema nervoso l’informazione che non siamo in pericolo e di conseguenza ridurre l’impatto paralizzante che certi pensieri possono scatenare.
Esistono altre tecniche per gestire pensieri negativi e critico interiore, ma direi che mi sono già
dilungata abbastanza e se qualcuno vuole approfondire l’argomento può scrivermi su Instagram o alla mail info@runningmindcoach.com.
Concludo tirando le somme di questo pippone e ripetendo che diventare consapevoli di questo tipo di pensieri o dialogo interiore è il primo passo per poterli gestire al meglio e convertirli in nostri alleati.
Conoscere il motivo per cui compaiono, sapere che il loro scopo è quello di proteggerci dai pericoli o di farci apprezzare dagli altri, ci permette di filtrare quello che di buono hanno da comunicarci, senza farci intrappolare dal loro ruolo demolitore.