Nel mio blog ho scritto molto sul tema della resilienza, per cui in questo articolo
recupero quello che già avevo scritto in questa mia newsletter, dove racconto la mia
storia personale di resilienza.
Racconto di quando un infortunio mi ha tolto la corsa lasciandomi spaesata, arrabbiata,
impotente. Ma la corsa mi aveva già insegnato a non fermarmi ed è così che ho
scoperto il nuoto: faticoso, scomodo, lontano da me, ma trasformativo.
Il nuoto è diventato la mia nuova sfida, e quella che sembrava una fine, ha aperto la
strada al triathlon.
Invece di concentrarmi su quello che non potevo fare, mi sono subito orientata in una
nuova direzione, un nuovo obiettivo: il triathlon.
La resilienza, in fondo è proprio questo, accettare quello che ci succede usando gli
ostacoli come trampolino per nuove mete.
Cos’è la resilienza?
Si parla tanto e a sproposito di “resilienza”, ma in ambito sportivo questa capacità
dovrebbe essere davvero la stella polare. La resilienza non c’entra niente con il “non
mollare”, la resilienza è l’abilità di perseverare negli obiettivi a lungo termine, è
disciplina e perseveranza.
Ogni atleta lo sa: arriva un momento in cui le gambe cedono, lo stomaco si chiude, la
testa si riempie di dubbi. È lì che comincia la vera gara. La resilienza mentale è la
capacità di restare presenti, motivati e determinati anche quando la fatica diventa tanta.
Nel mondo degli sport di endurance – ultramaratone, triathlon, trail estremi, ciclismo – la
fatica è una compagna costante. Ma ciò che separa chi arriva al traguardo da chi si
ferma prima non è solo la preparazione fisica. È qualcosa di meno visibile, più sottile e
quando il corpo dice basta, la mente può dire “ancora”!
Come si fa a diventare più resilienti?
Quando un amico è in difficoltà ci risulta molto facile essere comprensivi nei suoi
confronti e dargli il nostro aiuto, ma quando si tratta di noi stessi tendiamo ad essere
molto più autocritici e meno disposti ad offrire auto-aiuto.
La prima cosa per sviluppare la nostra forza mentale è proprio quella di essere meno
autocritici, di sospendere il giudizio su noi stessi e su quello che ci sta accadendo
per diventare semplici osservatori senza giudizio. Per fare questo è necessario lavorare
su un’altra importante abilità che è quella di restare sul “qui ed ora” non lasciando la
nostra mente libera di vagare verso un futuro non controllabile o un passato non
modificabile.
C’è un fattore, però, che è in assoluto il più importante per farci diventare pronti ad
affrontare le sfide più importanti ed è la consapevolezza di sé: tutti noi, ma per gli atleti
acquista un’importanza particolare, dovremo essere in grado di identificare le nostre
emozioni per poterci stare dentro e gestirle. Non è negando un’emozione o
scacciandola che diventiamo più abili a gestire emozioni dirompenti e bloccanti come
l’ansia, lo stress o la rabbia. Ed è proprio diventando più consapevoli che diventiamo
più abili a mantenere la concentrazione e restare focalizzati.
La resilienza, che io preferisco chiamare “la grinta”, è a tutti gli effetti un’abilità cognitiva
e come tutte le abilità può essere migliorata e incrementata con la pratica.
Su cosa lavoro con i miei atleti per sviluppare la loro resilienza?
A livello puramente cognitivo e psicologico, i fattori che andiamo a toccare sono:
● coltivare una buona autostima (ovvero il giudizio di valore che diamo di noi
stessi) ci aiuta ad accettarsi senza giudicarci e a basarci sui nostri valori fondanti
per perseguire i nostri obiettivi.
Coltivare la propria autostima, significa lavorare sulle proprie potenzialità e il mio
compito è quello di aiutare l’atleta ad individuare i propri punti di forza per
riconoscerli ed usarli.
● percezione di autoefficacia (ovvero la convinzione del “saper fare), ci aiuta a
vedere gli ostacoli come sfide e ad usare gli errori o le battute d’arresto come
lezioni da cui imparare.
In questo senso aiuto l’atleta ad identificare le proprie abilità.
● sviluppare la consapevolezza emotiva per riconoscere le nostre emozioni e
gestire meglio le fonti di stress.
● non concentrarsi sul risultato, ma sul processo nel senso di avere la capacità
di guardare al futuro con positività, restando fiduciosi verso il processo anche
quando le cose non vanno come avevamo pianificato.
● avere capacità analitica e di pianificazione che ci consenta di non cedere al
panico dovuto all’incertezza, ma di tenere invece “la barra dritta” verso i nostri
obiettivi.
● nutrire il nostro umorismo (profondo sintomo di intelligenza) che funziona
come salvagente in qualsiasi situazione difficile.
Quali azioni pratiche?
Nella pratica, le azioni che metto in campo per raggiungere i miglioramenti psicologici
che descrivo sopra possono essere varie, a seconda delle peculiarità dell’atleta che mi
trovo davanti, ma generalmente le azioni che mettiamo in campo, con diverse forme,
sono le seguenti:
● Riconoscere i propri valori e le proprie potenzialità. Il primo passo è aiutare
gli atleti a far emergere quelli che sono i propri valori, quello in cui credono e che
fa da stella polare per le loro azioni.
Insieme a questo è importante aiutarli a riconoscere e far emergere le
potenzialità che già possiedono, l’arsenale di cui già sono dotati e sui cui
possono lavorare per raggiungere i propri obiettivi.
Riconoscere e visualizzare quali sono le abilità e le potenzialità che ci hanno
fatto superare gli ostacoli in passato, ci rende più disposti, meno impauriti e più
resilienti per superare gli ostacoli del futuro.
● Riconoscere la motivazione profonda: aiutare l’atleta a conoscere il proprio
“perché”, che è la bussola nei momenti bui. Non basta volere una medaglia:
servono motivazioni che parlano alla propria identità, serve un proposito.
● Micro-obiettivi: Scomporre la fatica. Non pensare alla finish line, ma al
prossimo passo, al prossimo sorso, al prossimo respiro e dividere in piccoli
obbiettivi la strada verso la meta e rendere misurabili questi obiettivi.
Il nostro cervello gode e i nostri ormoni liberano sostanze che ci fanno stare
bene, quando riusciamo in qualcosa che ci appaga.
● Visualizzazione: Allenarsi mentalmente ad affrontare crisi, caldo, freddo,
stanchezza. Se la mente ci è già passata, il corpo la seguirà.
In questo senso può essere utile anche sottoporsi volontariamente (ma
coscientemente) a situazioni scomode in allenamento per poter poi essere più pronti in gara.
● Dialogo interiore: imparare a parlarsi come si parlerebbe a un compagno di
squadra. Non con giudizio, ma con forza: “Ce la stai facendo. Tieni. Sei più forte
di così.”
C’è poi una domanda che faccio sempre agli atleti:
Chi sei quando le cose si mettono male?
Lavorare su questo concetto, su quello che ci ha fatto superare gli ostacoli in passato e
su quello che vogliamo diventare di fronte ai nostri ostacoli del futuro. Avere una visione
chiara di come vogliamo reagire di fronte alle sfide, ci permette di costruire la nostra
identità di atleti resilienti.
Un’atleta resiliente è colui che è in grado di trasformare le difficoltà in opportunità,
perché consapevole e motivato nel raggiungere le sue mete importanti anche di fronte
alle avversità, è colui che sa riprendersi dopo un duro colpo come un infortunio ed è in
grado di trovare nuovi percorsi quando quelli vecchi non sono più percorribili.
Molti evitano la sofferenza. Gli atleti di endurance, invece, imparano a dialogarci. Ogni
momento difficile è un’opportunità per conoscere i propri limiti e spostarli un po’ più in
là. La resilienza mentale nasce anche da questo: affrontare volontariamente il
disagio per diventare più forti.
Infine, un elemento spesso sottovalutato: la dimensione sociale. Allenare la resilienza
significa anche circondarsi delle persone giuste, condividere le proprie sfide, lasciarsi
ispirare.
Resistere alla fatica estrema è un atto di volontà, ma anche di umiltà. La resilienza
mentale non rende la corsa più facile: la rende possibile. È ciò che ti fa alzare all’alba
per allenarti, che ti tiene in piedi quando le gambe tremano, che ti porta oltre l’ultima
salita. E quando tagli il traguardo, non sei solo un atleta che ha completato una gara.
Sei una persona che ha riscritto i propri limiti.